Neres: “Per me chi vince lo scudetto? Io dico Napoli!”

L’esterno del Napoli, David Neres, si racconta al Corriere Della Sera fra passato e presente: «Inter impressionante, ma dobbiamo credere allo scudetto. Restano 9 partite, vietato fermarsi. Lukaku è il nostro leader»

Neres, perché non sorride mai?
«Le telecamere mi mettono a disagio. Poi sono timido con chi non conosco».

Poche foto sui social, ha fatto un’eccezione per il suo compleanno il 4 marzo.
«Non li uso molto, forse sono vecchio! E poi, se fai bene ti elogiano, sei fai male ti insultano. Quando cedo alla tentazione mi arrabbio. Meglio guardare negli occhi le persone, bisognerebbe far capire ai ragazzi che il mondo virtuale può essere pericoloso. Tutto è estremizzato».

David Neres, 28 anni, brasiliano di San Paolo, è l’esterno d’attacco del Napoli di Antonio Conte. È arrivato l’estate scorsa dal Benfica. Prima era nella squadra dei ragazzi terribili dell’Ajax di ten Hag che tagliò il traguardo della semifinale di Champions. Fermato da un brutto infortunio al ginocchio, al rientro non trova continuità. La chiamata di  Roberto De Zerbi in Ucraina, la guerra, la paura rinchiuso in hotel. La fuga in Brasile.

Carriera in altalena.
«L’Ajax è stato il momento migliore, ma subire un infortunio dopo un anno straordinario è stata una sfortuna, non immaginavo neanche quanto fosse difficile. Ero certo che sarei tornato più forte, ma in realtà, una volta rientrato, ho giocato poco».

La chiama De Zerbi.
«Quando sono arrivato allo Shakhtar, mi sentivo benissimo, ero pronto e con De Zerbi mi allenavo bene. Poi, però, la guerra ha interrotto tutto e c’è stato un lungo periodo senza partite. Sono tornato in Brasile. All’inizio mi sembrava quasi di essermi ritirato dal calcio, il primo mese mi sono divertito, poi ho iniziato ad annoiarmi. Sono stato fermo fino a quando è arrivato il Benfica, mi è sembrata un’eternità».

Perché ha detto sì al Napoli?
«Fino a quel momento avevo giocato in squadre top ma non in campionati forti come quello italiano appunto, il Napoli mi ha dato questa opportunità. Non ci ho pensato su due volte, è un club con un progetto».

Chi vince lo scudetto?
(sorride e allarga le braccia) «Il Napoli, why not?! Non è facile ma di sicuro ci proveremo fino alla fine. Non possiamo mollare mica adesso».

Rientra da un infortunio dopo 50 giorni. Giocherà col Milan domenica?
«Lo spero ma decide Conte, ovviamente».

Che allenatore è Conte?
(Sgrana gli occhi e ride) «Molto simpatico! Sono serio: pretende tanto da ogni giocatore. Per me è perfetto perché quando un allenatore non è esigente tendo a rilassarmi. Tira fuori il massimo, ti stimola, ti motiva come nessuno. E ti rimprovera anche, mi è successo dopo due settimane che ero qui».

Ce lo racconta?
«Avevamo fatto un’amichevole e diciamo che non mi ero impegnato, mi chiamò da parte in maniera chiara e diretta. In quel momento capii bene però chi avessi di fronte e come dovevo comportarmi. Mi è servito»

È vero quello che si dice sui suoi allenamenti durissimi?

«Sono i più duri che abbia mai fatto. Ho corso di più in questi 6 mesi che nel resto della mia carriera finora».

La squadra più forte?
«L’Inter come organico, non c’è dubbio. Col Napoli non ci ho giocato contro ma col Benfica l’ho incrociato tre volte e mi ha fatto impressione. Bastoni mi ha messo in difficoltà».

Il compagno di squadra più forte.
«Naturalmente Lukaku. Leader in campo e nello spogliatoio. Poi Lobotka, prezioso per noi».

È lei l’erede di Kvara?
«Io sono David Neres, nato a San Paolo cresciuto col mito di Messi e Ronaldinho. Kvara è un top player. Uno di quei giocatori fondamentali per un club. Come persona e come amico mi è dispiaciuto sia andato via».

Perché il Napoli sul più bello, senza di lei infortunato, ha perso tanti punti? 
«Prima avevamo vinto sette partite di fila, quindi un calo ci può stare. Il campionato italiano è molto competitivo, ogni partita è difficile e affrontiamo sempre squadre di alto livello. Queste ultime 9 partite sono decisive, adesso sì che è vietato fermarsi».

Un ricordo da bambino…
«Giocavo con il pallone nella strada davanti a casa, avevo 5 anni. Papà era felice, mamma meno: prima la scuola e poi il calcio, diceva».

Alla fine?
«Ho accontentato entrambi, se non avessi studiato non mi sarei potuto allenare. Ho fatto il liceo, e ho avuto il via libera da mamma».

Un piano B lo aveva?
«In realtà no. Quando ho esordito in prima squadra col San Paolo, mi dissi: “ce l’ho fatta e qui resto”».

Il primo stipendio?
«Non eravamo ricchi, mio padre e mia madre lavoravano e riuscivano a garantirci il cibo a tavola. Con i primi soldi non ricordo esattamente cosa comprai, ma ricordo bene la sensazione: ero felice. Il primo stipendio al San Paolo era di circa 120 reais, circa 20-30 euro. Pensai: “Wow, sono ricco!”. Quando poi ho cominciato a giocare in Europa e sono arrivati i soldi veri, ho comprato una casa migliore alla mia famiglia in un quartiere più sicuro».

Arriva a Napoli e dopo poche settimane subisce una rapina con pistola. 
«Basta leggere i giornali per sapere che accade ovunque. Certo, mi sono spaventato, ero con mia moglie. Tornavo dallo stadio e mi è sembrato assurdo: avevamo vinto la partita, i tifosi ci avevano applaudito. Cosa ho fatto, mi chiesi».

In Nazionale, la prima volta la convocò il c.t. Tite.
«Sì e non gli risposi al telefono».

Perché?
«All’Ajax venivo spesso aggiunto in gruppi whatsapp con persone che non conoscevo. Ricevevo tante chiamate da numeri sconosciuti e, per abitudine, non rispondevo. Così mi sono perso quella telefonata. Trovai un messaggio: “Ehi, sono della Nazionale, ho provato a chiamarti”».

L’obiettivo è tornarci.
«Se faccio il massimo nel club, ho chance di essere convocato. Napoli mi farà rientrare in Nazionale».

Un pregio e un difetto di Conte.
«Per carità… Mi piace tutto di lui! Tira fuori la versione migliore di me».

Un regalo, cosa desidera?
«Il più bello l’ho già ricevuto da mia figlia alla Festa del Papà: una lettera, un disegno e un portachiavi. What else?». Conclude David Neres

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